L'idratazione del neonato-lattante-divezzo
E’ giusto dare acqua ai bambini anche se allattati esclusivamente al seno? Revisione della letteratura sul tema “idratazione infantile” e personale esperienza
Dr. Stefano Tasca
- Roma -
Giugno 2003
Dal sito www.mammeonline.net riporto un articolo di un noto neonatologo romano.
--------------------------------------------------------------------------------
INTRODUZIONE
Svolgo l’attività di neonatologo e quindi per me l’informazione sull’allattamento al seno non è un optional ma un must. Impiego molto tempo a spiegare alle neomamme i fenomeni che sono alla base della lattazione, le tecniche per favorire la montata, la necessità di non lesinare gli attacchi al seno durante tutta la giornata ed anche di notte, fino a che non sia ottenuta una montata efficace ed il bambino si autoregoli nei tempi e nei ritmi di poppata.
Le variabili sono certamente molte (motivazione materna che va incentivata, suzione del bambino talora inefficace, parti cesarei dove la progressione della cascata ormonale alla base della secrezione lattea è più lenta, ecc.) ma alla fine, e con soddisfazione, noto che il tempo impiegato a spiegare e ad assistere le mamme da buoni frutti in termini di montata lattea e di crescita del bambino. Nella mia personale casistica le mamme che non riescono ad allattare al seno sono una quantità trascurabile (intorno al 2% circa entro il primo mese ed intorno al 7-8% al traguardo del sesto mese, includendo coloro che, per motivi lavorativi od altre cause inderogabili, decidono di sospendere l’allattamento volontariamente anche se avrebbero potuto continuare).
Nonostante questo evidente buon traguardo nell’ottenimento di una efficiente lattazione, al controllo settimanale post dimissione (10 giorni di vita, circa) ho però sempre notato una percentuale, seppur non altissima (2-3% circa della popolazione da me presa in considerazione) di bambini che presentavano alcuni fenomeni particolari:
1) difetto di crescita a seguito di un calo “fisiologico” pari o superiore al 10% del peso alla nascita (in presenza di una apparente soddisfazione del piccolo che, a detta delle madri, “mangia e dorme” nonostante il mancato recupero ponderale)
2) bregma leggermente depresso e secchezza della cute
3) modico ipertono muscolare
4) persistenza della iperbilirubinemia (ittero)
5) tendenza del bambino ad urinare spesso ed abbondantemente
Questi indizi per la diagnosi di iniziale disidratazione ipernatremica si verificavano (è importante tenerne conto) in figli di donne molto motivate all’allattamento al seno e che erano disponibili nei confronti del bambino in modo completo, sia dal punto di vista degli orari che del tempo di poppata. La valutazione della secrezione mammaria di queste donne (mediante doppia pesata o con svuotamento del seno tramite tiralatte) dimostrava quantità di latte congrue con la giornata di vita del bambino (media di circa 80 ml per poppata con un numero medio di poppate giornaliere di circa 6, sollecitate dal bambino stesso e non imposte).
A fronte di questa evidenza mi sono posto il problema (ormai anni fa) del perché si verificasse un tale fenomeno in presenza di una secrezione lattea più che sufficiente, iniziando a porre attenzione al dato sopra citato anche in bambini più grandicelli efficacemente allattati al seno e notando che una percentuale (seppur piccola e quantificabile in un 15% circa) di essi mostrava le stesse evidenze (lento accrescimento, modico torpore, tendenza a minzioni abbondanti e frequenti).
LA DISIDRATAZIONE IPERNATREMICA (primi 10-15 giorni di vita)
A fronte dei precedenti rilievi ho intrapreso una ricerca personale ed ho rivisto in modo accurato la letteratura in merito ai dati da me raccolti. In più parti del mondo (dai paesi caldi a quelli temperati) viene denunciata una percentuale di bambini affetti da disidratazione (ipernatremica o meno) più o meno grave, sovrapponibile a quella da me osservata (circa il 3-4% in media nella fascia di età compresa tra la nascita ed i quindici giorni di vita). La causa, da più fonti, è individuata in due fattori principali:
1) Scarsa informativa sull’allattamento al seno con evidenti ritardi nella montata dovuti ad inesperienza della madre o ad inefficacia della suzione del bambino (dimissione precoce dai reparti e frettolose indicazioni sulle tecniche di allattamento) con conseguente iponutrizione del bambino
2) Colostro e latte di transizione particolarmente ricchi di soluti, in particolare di NaCl (sia per ragioni metaboliche in presenza di abbondante secrezione lattea, sia per il fatto che in alcuni casi l’iperconcentrazione di sali avveniva per scarsa produzione di latte in volume)
Quest’ultima voce mi ha particolarmente interessato, dato che i casi da me osservati corrispondevano a quelli di donne informate, motivate, attente e con quantità di latte normali.
La disidratazione, infatti, non insorge solo per carenza di reintegro dei liquidi fisiologicamente persi attraverso la diuresi, le feci, la sudorazione e la perspiratio insensibilis (riconducibile alla voce 1 del precedente schema) ma anche ad un aumento delle perdite idriche per via urinaria dovuti ad una eccessiva osmolarità dei liquidi assunti per via orale, seppure abbondanti in volume.
Il rene infantile (ed in particolare il rene neonatale), fino ai due anni circa, ha una scarsa tolleranza nei confronti dei carichi di soluti (in particolare di sodio). Un aumento nell’apporto di liquidi ipertonici (in NaCl) determina un innalzamento della sodiemia (concentrazione di sodio nel sangue). Il filtro renale, poco selettivo nel neonato-lattante (la maturazione completa dell’emuntorio renale si raggiunge, come accennato, intorno al 2° anno di vita), aumenta l’escrezione di questo elemento in modo vistoso. Il sodio, a livello dei tubuli renali, viene di norma eliminato in relazione alla sua concentrazione ematica ma nel rene infantile, immaturo, viene perso con estrema facilità. Un aumento di concentrazione del sodio nell’escreto richiama solvente per effetto osmotico e quindi il bambino perde, insieme al sale, anche l’acqua. Il risultato sarà che il bambino si disidrata anche se introduce grandi quantità di liquidi per via orale dato che produce grandi quantità di urina a peso specifico normale (l’acqua eliminata in eccesso abbassa la concentrazione dei soluti).
Alcuni autori, prendendo in considerazione proprio il volume ed il peso specifico delle urine per valutare lo stato di idratazione del bambino, commettono quindi un errore. Grandi quantità di urina a peso specifico compreso tra 1005 e 1010 non indicano liquido intra ed extracellulare in equilibrio. Nella disidratazione ipernatremica questi parametri non sono infatti attendibili proprio per la ragione che ho appena esposto (perdita di liquidi in eccesso con susseguente diluizione dei soluti urinari). Per la diagnosi di disidratazione ipernatremica occorre invece una valutazione dell’ematocrito (che in alcuni casi risulta molto alto) e della sodiemia, oltre che delle condizioni generali. La diminuzione di liquidi circolanti, in modo particolare, influisce di fatto sulla concentrazione della bilirubina nel sangue (persistenza dell’ittero) e sulla dinamica circolatoria (in particolare a livello del sistema nervoso, che ne risulta intorpidito nelle funzioni). Il bambino, quindi, ha un lento od assente recupero ponderale post calo fisiologico e presenta cute asciutta e fontanella bregmatica depressa. Inoltre, per l’ispessimento della massa ematica, ha una tendenza spiccata alla sonnolenza (l’affermazione “mangia e dorme” di molte madri di bimbi disidratati deriva in effetti non da soddisfazione e sazietà ma da torpore).
La disidratazione (non necessariamente ipernatremica) può verificarsi anche in età successive all’immediato periodo neonatale. Le cause sono numerose ma sono riassumibili in due grandi categorie:
1) Scarso apporto di liquidi
2) Eccesso di perdite
Si calcola, come fabbisogno medio di sola acqua (in un bambino che viva in un ambiente a temperatura costante, con umidità relativa del 50% circa ed in condizioni di riposo) una quantità di mantenimento che varia (a seconda della stagione) tra i 100 ed i 120 ml/kg/al giorno. Tale fabbisogno si assomma, ovviamente, ad un apporto idrico proveniente da altre sostanze (alimenti) e determina un valore medio totale (sempre nelle stesse condizioni) che si aggira tra i 180 ed i 200 ml/Kg/ al giorno fino ai 6 mesi circa e tra 120/150 ml/Kg/die dai 6 mesi all’anno d’età. Il latte, i brodi, le tisane, i succhi di frutta, ecc. contengono sicuramente acqua ma sotto forma di solvente in soluzioni che prevedono la presenza anche di soluti (proteine, sali, grassi, carboidrati, ecc.). Questo significa che si tratta di liquidi che posseggono un’attività osmolare e che apportano all’organismo sostanze capaci di influire sull’osmolarità del plasma e dei liquidi intracellulari una volta assorbite. In pratica, in queste soluzioni, l’acqua è un veicolo di soluti e non un semplice reintegratore di fluidi, essendo in parte legata ed interagendo coi soluti stessi. In realtà la necessità del genitore di decidere un reintegro dei liquidi si limita alle fasce d’età inferiori ai 12 mesi, cioè finchè il bambino non sia autonomamente in grado di richiederli in caso di bisogno. Talora, però, la disabitudine a bere determina, anche dopo l’anno, il rischio che l’acqua non venga richiesta anche in caso di carenza (è un fattore di cui tenere conto). In questi casi la proposta deve partire dai genitori che, quindi, non dovrebbero attendere segnali dal bambino qualora sappiano che egli non è abituato a riconoscere la sete e a palesare la sua necessità d’acqua.
Il bambino perde molti liquidi sia attraverso la sudorazione sia con la perspiratio insensibilis. In relazione alle dimensioni (fatte le debite proporzioni) un bambino presenta una superficie di scambio con l’ambiente (la pelle) che è di molto superiore a quella dell’adulto (quasi doppia). Ciò significa che le sue perdite di liquidi e di calore attraverso la superficie corporea sono molto più vistose. Questo sarebbe già sufficiente a determinare un rischio di ipoidratazione o di disidratazione (senza citare, seppure sia fondamentale, il fatto che un organismo in crescita ha un metabolismo molto rapido ed una produzione di calore, che conduce alla sudorazione ed all’aumento della traspirazione, molto maggiori che nei bambini più grandi o negli adulti).
La premessa che ho fatto serve a capire per quale motivo la disidratazione, per un bambino piccolo, sia una minaccia molto più reale di quanto lo possa essere per altre fasce d’età.
Non si può fare un calcolo “casalingo” di quanti liquidi il piccolo stia perdendo. Si può però calcolare, in via teorica, la quantità di liquidi da apportare per evitare che la disidratazione si verifichi.
Dal computo dei liquidi osmolari che assume (latte, brodi, tisane, ecc.), e che abbiamo visto agiscono per una quota solo come “solventi” di sostanze disciolte, dovrebbe essere estrapolato un 20% circa, da non considerare nel calcolo del fabbisogno idrico giornaliero. Questo 20% (è un valore approssimativo medio che può variare vistosamente a seconda di quanti soluti siano disciolti nel fluido somministrato: maggiore l’osmolarità per la presenza di sali, proteine, zuccheri, ecc., maggiore la percentuale da sottrarre al totale) corrisponde alla quota d’acqua presente nel fluido stesso, impegnata a mantenere in soluzione (e ad interagire) col soluto. Rimane un 80% che rappresenta effettivamente l’acqua “libera” disponibile. Il valore che si ottiene va rapportato al fabbisogno teorico che fino ai 6 mesi si aggira, come detto, intorno ai 180-200 ml/Kg/die e dai 6 mesi all’anno intorno ai 120/150 ml/kg/die. La quota che rimane per raggiungere il valore ottimale, una volta sottratto il 20%, va quindi somministrata a parte sotto forma di liquidi iposmolari (acqua oligominerale o tisane molto diluite).
Faccio due esempi pratici.
CASO 1: lattante di tre mesi, del peso di 5 Kg che assume solo latte materno a 6 poppate, ognuna delle quali sia di circa 150 ml.
Nelle 24 ore il bambino assumerà una quantità totale di latte di 900 ml. Da questi 900 ml va tolto il 20% (per valutare l’apporto “netto” di acqua semplice). Si ottiene che l’effettiva quantità di acqua libera che il bambino assume sarà di 720 ml nelle 24 ore. Il fabbisogno teorico (180 ml/kg/die) sarebbe di 900 ml al giorno. Ciò significa che il bambino avrà bisogno di un reintegro approssimativo di liquidi semplici calcolabile in circa 180 ml (approssimativamente il 3% del peso corporeo) nelle 24 ore, in aggiunta al latte che già assume.
CASO 2: bambino di un anno, divezzo, del peso di 9,500 Kg, che assume 3 poppate di latte materno (media 150 ml ciascuna), 2 brodi vegetali ed in media 2 frutti al giorno.
Liquidi dal latte: 450 ml
Liquidi dalle minestre: circa 400 ml
Liquidi dalla frutta: circa 100 ml
Totale introdotto: circa 950 ml (da cui occorre togliere il 20%, cioè 180 ml)
Liquidi “liberi” dai soluti: circa 770 ml
Dato che il fabbisogno teorico (circa 120 ml/Kg) sarebbe di 1140 ml/die, occorre una reintegrazione di circa 370 ml/24 ore (la differenza tra fabbisogno teorico e liquidi realmente acquisiti). Questo valore, come è evidente, corrisponde sempre (più o meno) al 3-4% del peso corporeo.
L’accortezza maggiore, a lato di questi calcoli, non sta tanto nella correttezza dei valori che si ottengono quanto nel rispetto degli effettivi fabbisogni che cambiano a seconda di molte variabili:
1) temperatura ambientale
2) umidità ambientale
3) Sudorazione
4) Attività fisica più o meno intensa
5) Effettiva osmolarità dei liquidi diversi dall’acqua che vengono somministrati al bambino
Un sistema efficientissimo per ottenere buoni risultati in quest’ambito è quello di lasciare al bambino la facoltà di scegliere quanti liquidi assumere. In pratica occorre proporre acqua o tisane estremamente diluite in piccole dosi diffratte ed omogeneamente distribuite nell’arco delle 24 ore, lasciando che il bambino ne assuma non più di 20-30 ml ad ogni somministrazione e non insistendo qualora rifiutasse. In questo modo non c’è bisogno di fare calcoli troppo complessi: basta preparare un biberon contenente una quantità di liquido corrispondente a circa il 3-5% del peso del bimbo e provare ogni tanto a somministrarlo, senza forzare in alcun modo.
I DUBBI DELLE MAMME
Quando si propone la reintegrazione di liquidi diversi dal latte, specie se si parla con mamme di bambini molto piccoli che si nutrono solo al seno, talvolta ci si trova di fronte ad una resistenza notevole, per quanto si tenti di spiegarne le ragioni.
In questo paragrafo vorrei smentire le due eccezioni più comuni che vengono fatte alla proposta di dar da bere ai bambini.
L’obiezione più comune (per la quale ho già dato spiegazione) è che “il latte di donna contiene già tutta l’acqua di cui il bambino necessita”, per cui non si ritiene necessaria alcuna reintegrazione. Spero che quanto ho scritto sopra sia funzionale a render ragione del consiglio che generalmente fornisco, specie a donne che si trovano nella primissima fase della lattazione (entro i primi 15-20 giorni di vita del piccolo), di rispettare quel 3-5% del peso corporeo/24 ore in liquidi iposmolari. L’importanza di tale indicazione è derivante da fatti e non da illazioni: l’organismo infantile funziona in un determinato modo dal quale non ci si può permettere di deviare troppo.
La seconda obiezione è che “se il bambino si abitua al biberon poi inizia a rifiutare il seno e l’allattamento dura meno tempo”. A parte il fatto che i liquidi (dato che le quantità per volta non sono eccessive) possono essere somministrati anche con un cucchiaino e non necessariamente col biberon, vorrei richiamare l’attenzione su un fatto molto importante ma nondimeno trascurato praticamente da tutti: i bambini piccoli hanno un rudimentale sviluppo della vista e dell’udito ma possiedono, sviluppatissimi, il senso dell’odorato e del gusto. Tale caratteristica permette al bambino di distinguere in modo molto preciso COSA sta assumendo e con quale mezzo. L’interferenza tra biberon e seno si può verificare facilmente, quindi, se (e solo se) col biberon viene somministrato latte (sia artificiale che materno dopo estrazione meccanica dal seno) e non liquidi diversi dal latte (che hanno odore/sapore completamente differenti e perfettamente distinguibili). Ciò significa che la somministrazione di acqua o tisane non interferisce minimamente con l’accettazione del seno. Esiste una sola eccezione a questa regola: l’eccessiva concentrazione (assolutamente sconsigliabile) delle “tisane” eventualmente somministrate che assumono un sapore dolce più simile a quello del latte di donna, associata ad una quantità eccessiva per singola somministrazione (altrettanto sconsigliabile), rischiando così realmente la confusione seno/biberon. L’inconveniente è facilmente evitabile. Al bambino serve semplice acqua e la tisana serve solo per farla accettare meglio. Per tale ragione è cruciale che, se si ricorre ad un infuso, questo sia poco concentrato (anche per rispettare la necessaria iposmolarità del liquido che si va a somministrare) e pochissimo dolcificato. In queste condizioni il rischio di precoce abbandono del seno in favore del biberon si annulla completamente.
MANIFESTAZIONI DI IPOIDRATAZIONE
Tralascerò i sintomi più gravi e macroscopici della disidratazione (già accennati all’inizio) per descrivere quelli più comuni della ipoidratazione.
1) Stipsi: un bambino ipoidratato evacua meno spesso di uno in equilibrio idrico. La ragione è molto semplice: il colon (tratto terminale dell’intestino) ha, tra le sue funzioni, quella fondamentale di riassorbire i liquidi presenti nella massa fecale. Si tratta di una azione di “risparmio”. In condizioni di buona idratazione i liquidi delle feci sono più abbondanti ed il colon lascia che una quota di essi possa essere perduta. Le feci, quindi, tendono ad essere più fluide e più facilmente eliminabili. In queste condizioni il transito intestinale, data la maggior massa del contenuto, tende ad accelerare e, nell’arco della giornata, consente uno o più svuotamenti. Se l’introito di liquidi non è efficiente, invece, il transito rallenta (per consentire al colon di avere un contatto più prolungato con le feci da “asciugare”) quindi il numero di evacuazioni scende in proporzione e le feci possono essere più formate e difficilmente emissibili.
2) Coliche gassose: conseguenza del meccanismo precedente. Un transito rallentato permette un ristagno più prolungato delle feci nell’intestino terminale, quindi promuove con più facilità la fermentazione e la produzione di gas. Abbastanza tipicamente i bambini che soffrono di questo disturbo (se derivante da ipoidratazione e non da altre cause) piangono all’atto dell’attacco al seno, durante o subito dopo la fine della poppata, hanno dolori frequenti e spingono (come a voler eliminare il contenuto intestinale) per buona parte della giornata, anche senza pianto.
3) Nervosismo: un bambino ipoidratato tende ad essere (per la ricerca di liquido) perennemente insoddisfatto. Piange e ricerca continuamente, anche se la quantità di latte assunto è congrua con una buona crescita. Talora (spesso) se la madre tenta di riattaccarlo al seno, accentua il pianto e lotta con la mammella. Il sonno è più breve e gli intervalli tra le poppate tendono ad essere molto più ridotti.
4) Febbre: specie in estate accade che un’ipoidratazione conduca a questo sintomo che è la porta d’ingresso alla disidratazione. In questi casi, prima dell’insorgenza dell’ipertermia, il bambino è lamentoso, insoddisfatto, sonnolento ma resistente al sonno, iporeattivo. Intervenire PRIMA dell’insorgenza della febbre è comunque opportuno dato che l’elevazione della temperatura è la spia iniziale di un debito di liquidi significativo.
--------------------------------------------------------------------------------
Ritorna all'Elenco